| Come dicevo, sono andato al Barberini a vedere "Dieci Inverni", film molto carino...opera prima del regista Valerio Mieli con Michele Riondino e Isabella Ragonese... dopo un inizio un po' lento, il film ingrana di pari passo con la recitazione dei due protagonisti che valorizzano una sceneggiatura complessivamente garbata, efficace e brillante... Peccato non aver saputo prima che, andando in altri giorni, avrei potuto incontrare il cast sia al Barberini che all'Adriano...glub!!! Comunque, va bene lo stesso... mi potrò casomai consolare con una novità promozionale legata al film...in questi giorni in via Albalonga a Roma, presso il Bar Pompi, un cocktail che al Barberini invitavano a provare porta il nome della pellicola d'esordio del buon Mieli, una produzione italo-russa targata anche Rai Cinema e Centro Sperimentale di Cinematografia... Il film non è stato abbastanza pubblicizzato e non è distribuito proprio ovunque...quindi, su, andiamo a vederlo e a dare una mano al cinema italiano, ragazzi!!!
Sotto la recensione di Marianna Cappi, da MYmovies, voto 3 stelle piene piene...
UN GIOVANE ESORDIO DAL CARATTERE MATURO
Primo inverno. 1999. Camilla lascia il paese d'origine e si trasferisce a Venezia per frequentare l'università. Sul vaporetto incontra Silvestro: il sorriso chiaro, le idee molto meno. Un po' per fato e un po' per intenzione, il ragazzo perde l'ultima corsa della sera e passa la notte insieme a lei. È l'inizio di un amore che chiederà dieci anni per riconoscersi come tale. In mezzo scorrono l'amicizia, la paura, il dubbio, le impennate di orgoglio, l'incredulità. Per Valerio Mieli, Dieci Inverni è il film del diploma, un rito e un momento di passaggio, un po' come quello dei suoi personaggi, che nel corso del film traghettano (è il caso di dirlo) dalla maturità della convenzione - i diciotto anni - a quella dell'esperienza. È proprio nella vicinanza del regista ai suoi attori, nell'affetto che nutre per loro e che scalda queste inquadrature di ambientazione rigorosamente invernale, che sta il cuore del film, la sua accattivante tenerezza. Gli fa da corpo, attorno, una buona scrittura, in grado di riempire di sostanza i dieci quadri del racconto, di modo che non appaiano mai pretestuosi bensì vari come è varia la vita, senza cercare la stravaganza a tutti i costi, e brillanti nei dialoghi, ispirati allo stesso criterio di naturalezza. Un esordio maturo, che bilancia la frammentazione strutturale della narrazione con un lucido sguardo d'insieme, per cui nell'immagine iniziale di una ragazza che porta una lunga lampada e di un ragazzo con in mano una buffa pianta c'è già un'idea di condivisione inevitabile, di nido da costruire, pezzo per pezzo, coi tempi che la sorte vorrà. Gli interpreti, Michele Riondino e Isabella Ragonese, corrispondono nel migliore dei modi ai personaggi sulla carta: più libero e contraddittorio lui, che si nasconde a lungo persino a se stesso, come a contenere un poco della formazione di Riondino, fatta di seminari sul mimo e sulla maschera, e più impegnata ed esigente con se stessa lei, che ha studiato con i nomi del teatro europeo, Emma Dante e Enrique Vargas, e che il film sottopone all'inverno più rigido, quello della lontana Russia e non solo. Un film nel quale le ingenuità non sono sinonimi di superficialità e non è la volontà di stupire che muove le cose (l'idea ricorda, tra gli altri, Un amore di Tavarelli, pur su altri toni), ma stupisce piacevolmente la cura posta al racconto, nelle accezioni di buona fattura e di affettuosa dedizione.
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